L’intensità delle emozioni che si possono provare al cospetto di un’opera d’arte dipende senza alcun dubbio nella capacità che si hanno nel porsi davanti ad essa. L’incontro con Luigi Bello appartiene ad una delle esperienze più forti e piacevoli che si possano fare nell’affascinante e controverso mondo dell’arte. Sono stato accolto nella sua attuale dimora, lontano dalla mondanità, immerso in un paesaggio dove le lancette dell’orologio sembrano ferme da molto tempo, qui l’artista è perfettamente integrato e stimolato a proseguire nel suo lungo e straordinario percorso espressivo. Luigi Bello è arrivato a Cadegliano Vicognano, a pochi chilometri da Varese sul confine tra Italia e Svizzera, nel 1973. Partito dalla sua amata Legnano per approdare in gioventù a Milano, nella centralissima Brera, con un atelier situato in fondo a via Solferino, nel cuore pulsante del mondo della cultura di quei tempi, a contatto con tutti i più autorevoli protagonisti dell’epoca.
L’uomo, particolarmente sensibile, ha dimostrato di saper ascoltare le esigenze della propria anima, sin da giovane quando lasciò emergere in tutta la sua forza la necessità di disegnare e dipingere. Lo faceva con qualsiasi cosa, forse iniziando già a studiare e sperimentare l’uso di pennelli artigianali fatti di crine di una vecchia spazzola, “per i colori – rivela – usavo delle vecchie lattine trovate tra i rifiuti e mescolavo le terre colorate, come legante usavo l’acqua del riso bollito e disegnavo sulla carta che trovavo nei sacchi di cemento vuoti, è su quella carta che disegnavo con il carbone da legna”. Un’irrefrenabile desiderio di creare, di comunicare e di esprimere un fuoco che ardeva di vitalità, dentro sé, alla ricerca di un sogno, vivere d’arte.
Il sogno si è realizzato ed oggi, Luigi Bello, può raccontare una storia vincente costruita attraverso un percorso particolarmente affascinante e declinato nel nome della massima libertà espressiva, della ricerca e della costante sperimentazione. Forse ha ragione quando afferma che non bisogna giudicare un’opera d’arte attraverso la storia, il curriculum, ma è anche vero che il racconto della sua storia espressiva è costellato da momenti che non si possono tralasciare, e anzi, dovrebbero essere maggiormente conosciuti con un eco internazionale.
La sperimentazione, della quale ho accennato, ha una doppia lettura, quella relativa all’uso di materiali e quella riferita al linguaggio creativo. L’artista si è affidato per lungo tempo alla manipolazione delle terre che lui stesso cerca e con le quali ha realizzato opere molto interessanti.
“Io penso che la nostra vita – prosegue Luigi – appartiene alla natura e alla terra, per questo bisogna amarla. Amare la Terra, significa prima di tutto rispettarla. Alcune volte ci dimentichiamo che tutto proviene dal basso, dalla terra, ecco perché ho cercato di sublimarla in una forma d’arte, per renderle giustizia come merita”.
“Devo continuare a trovare qualcosa di nuovo, raramente sono pienamente soddisfatto del mio lavoro
– dichiara – per questo motivo devo continuare a ricercare e ad andare avanti, cercando l’essenza dell’arte attraverso una sintesi estrema”.
Anche se Luigi è un uomo mite dotato di un’innata umanità e simpatia, la sua è un’anima inquieta, sempre alla ricerca di un linguaggio che lo costringe ad essere anche un grande osservatore che vuol adeguarsi sempre con la realtà quotidiana anche nell’uso, ad esempio, di nuovi supporti. Una delle ultime sperimentazioni infatti riguarda l’utilizzo del polistirolo rivestito da una speciale rete, un materiale che in genere ritroviamo nel mondo dell’edilizia.
“Mi dispiace – ha poi proseguito Luigi – per chi mi segue se continuo a prendere nuove strade ma devo seguire il percorso della mia strada, indicata da quello che quotidianamente sento dentro di me”.
Alberto Lavit, lungimirante gallerista di Varese, è la persona che più di tutti ha creduto nel valore delle opere di Luigi Bello, apprezzando tutti i “periodi” che hanno costruito passo passo il grande artista che oggi possiamo osservare ad un passo dai novantacinque anni, portati straordinariamente bene. Il gallerista infatti proprio come i più celebri mecenati della storia ha saputo valorizzarne la storia attraverso una serie di mostre, cinque anni fa’ esposte in tre sedi differenti.
La storia di Luigi Bello, tutta caratterizzata da un sottile ma particolarmente colto e raffinato fil rouge, prende corpo con l’approccio figurativo che dimostra sin dal principio una mano straordinariamente abile nel presentare una Legnano insolita in cui le terre creano una partitura cromatica di grande effetto e fanno da contraltare alle meravigliose riflessioni dedicate alla musica.
“Verso la metà degli anni ’60 sentii la necessità di tradurre in musica la mia pittura”.
È un passaggio molto delicato questo, in cui lui stesso decide e dichiara di voler passare dalla figurazione ad un’espressione aniconica che è il frutto di un voler sentire una nuova immagine interiore. In queste opere si delinea una maturazione espressiva di alto livello in cui le scelte cromatiche e il ritmo compositivo delineano nuove vibrazioni e pulsioni vitali. I paesaggi musicali ed il periodo geometrico appartengono alle sperimentazioni informali, dove il gesto diventa scrittura, dove l’emozione danza tra colori e forme nuove delineando anche opere in cui l’artista riesce a trasformare in capolavoro anche la sua stessa firma.
Intuizioni che consentono a Luigi Bello di proseguire un cammino d’arte guidato dal sogno che pian piano si rivela a chi ha il cuore nobile e l’anima aperta all’ascolto. La rivelazione è il “segno”, il “gesto”, che ora appare sempre più deciso, energico, vero e sempre più presente, ed il motivo per cui è importante conoscere la storia espressiva dell’artista risiede proprio nello scoprire, con lo stupore della bellezza, che quel gesto, che ora è palese, è in realtà il fil rouge al quale accennavo poco fa, sempre presente, sin dal periodo figurativo. Non si può non amare il lavoro di Luigi Bello, come non si può non notare la ricerca che ora è sempre più chiara verso una sintesi primitiva, quell’espressione che l’artista ha sempre ammirato. “Sento una necessità di tornare ai primordi della pittura, al primo gesto tracciato dall’uomo primitivo” una sorta di ricerca della sua verità.
E’ in questo contesto, nel momento in cui ricerca nuove intime risposte, che l’artista trova in una nuova residenza, la pace e l’armonia necessaria ad elaborare nuove dinamiche creative.
Chi ama la verità può cercarla incessantemente mentre chi è sicuro di possederla non sente più il bisogno di cercarla e dunque si ferma nell’atto della creazione di idee. La verità è una fonte che scorre sempre, come ci ricordava nell’Aeropagitica, John Milton, ed è proprio da questo assunto che capisco nel profondo l’opera di Luigi Bello, e comprendo ora perché la sua ricerca non si fermerà mai.
L’artista affida al gesto, all’inconscio e all’arte la traduzione visiva della sua anima, mettendo in stretta relazione il mondo terreno con un approccio puramente spirituale per un’esperienza che non mira al solo piacere estetico ma ad un sentire interiore particolarmente profondo e sincero.
E’ così che le ultime opere realizzate in questo periodo mostrano una sempre più estrema sintesi formale, nel
gesto e nelle scelte cromatiche.
“La mia manualità oggi segue l’istinto, ricerco una pittura intrisa di purezza, il mio gesto è libero e sicuro, senza alcuna sorta di timidezza, ho sempre seguito la mia accesa curiosità e innata fame di conoscenza.”
La semplificazione esasperata del segno, talvolta in contesti monocromatici, mostrano una sorta di ricerca visionaria dell’essenza, quella che caratterizzò l’esperienza filosofica suprematista. Il “segno”, di Luigi Bello, riesce ad andare oltre le esperienze del passato, elaborando un codice del linguaggio espressivo modellato sulla sua sensibilità. Gli spazi che appaiono, così, sulla tela possono essere considerate aree entro le quali potersi confrontare con il proprio io più profondo. E’ “il pittore – che – deve creare costantemente un solo unico capolavoro, se stesso”, affermava Yves Klein.
Per Luigi Bello, la società ha sempre più bisogno di spiritualità, nella sua nuova pittura gestuale son presenti simbolicamente il colore bianco a rappresentare l’universo, il nero per l’umanità e il colore rosso che descrive cromaticamente la nostra epoca martoriata, tre colori che dialogano sulla tela alimentando quel vitale ritmo compositivo-cromatico che caratterizza lo stile dell’artista. Il colore rosso, spesso presente nelle opere in maniera quasi impercettibile, riesce a dare armonia ed equilibrio a tutta l’opera come un “cincischio” come ama chiamarlo l’artista indicando un gesto piccolo ma determinante nel dipinto.
Le opere di Luigi Bello riescono a far vibrare le corde del cuore a chi è disponibile a lasciarsi infiammare dall’arte.
Alla vigilia dei suoi 95 anni e all’apertura di una nuova importante mostra personale, il 4 Agosto nella meravigliosa cornice offerta da Palazzo Verbania a Luino, Luigi Bello incontrerà il pubblico mostrando una accurata selezione di capolavori.
Alberto Moioli