In occasione della festa di Lentate sul Seveso, sono stato invitato ad inaugurare una mostra fotografica di Maurizio Finotto, un reportage sui momenti più intensi della pandemia, per il quale ho scritto il testo che riporto integralmente di seguito.
Desidero però ringraziare tutti, dall’amico Maurizio Finotto per l’invito, al Sindaco della città di Lentate sul Seveso Laura Ferrari e all’Assessore al bilancio, Barbara Russo e a tutto il numeroso pubblico con il quale ho avuto la possibilità di confrontarmi. Il mio ringraziamento odierno non è scontato perché in questa occasione ho sentito sulla pelle il calore delle persone, l’atmosfera era colma di passione e l’organizzazione del grande evento curato in modo impeccabile in ogni dettaglio, una professionalità davvero rara e preziosa. Come al solito amo farmi trascinare dalla situazione e dalle emozioni del momento, per questo motivo quello che ho vissuto domenica 17 ottobre a Lentate sul Seveso rientrerà per sempre tra i miei ricordi migliori.
Accanto all’amico Maurizio, che come al solito si è distinto per eleganza e rispetto per il delicato argomento affrontato con la sua inseparabile macchina fotografica, ringrazio della presenza e delle parole il dott. Emanuele Monti, che ha diretto la nascita di ben tre centri vaccinali, tra i quali l’Hub Saronno, il cui lavoro non solo è stato determinante ma anche considerato un’autentica eccellenza. Le sue parole e i suoi racconti, lo confesso, mi hanno emozionato molto.
Non ultimo, ma sicuramente avrò modo di parlarne di nuovo, la cornice espositiva offerta dall’Oratorio di Santo Stefano, cappella gentilizia interamente affrescata e splendidamente conservata che, per la straordinaria bellezza, lascia senza fiato chiunque abbia la fortuna di ammirarla.
Grazie a tutti,
Alberto Moioli
L’evento “L’onda lunga della pandemia” è anche uno splendido libro che può essere richiesto presso l’Ufficio Cultura del Comune di Lentate sul Seveso
Testo Alberto Moioli
Confesso che prima di scrivere queste righe mi sono interrogato sul ruolo che ha la fotografia nel documentare i fatti e l’effettiva volontà che abbiamo nel voler ricordare questo maledetto periodo storico.
La pandemia, che ha caratterizzato le nostre vite per oltre un anno e mezzo, si specchia inevitabilmente con le molte perdite con le quali ognuno di noi ha dovuto fare i conti, nessuno cancellerà mai dai miei ricordi gli occhi colmi di lacrime di mia mamma mentre mi comunicava un lutto importante in famiglia, mi terrorizza pensare a quanti vedendo le opere fotografiche dell’amico Maurizio Finotto, si commuoveranno dando nuova vita ad un dolore che è stato per tutti molto pesante.
Ho scelto di scrivere un mio commento critico sugli scatti di Maurizio, perché questo appartiene alla mia vita, perché professionalmente non mi posso nascondere dietro un’emozione, seppur presente e molto forte, ma anche e soprattutto perché conosco molto bene la sensibilità del fotografo, la sua delicatezza e attenzione nel trattare questi particolari argomenti.
Il lavoro dunque rientra nell’ambito del reportage ed è svolto in punta di piedi, nel rispetto assoluto della sensibilità di chiunque qui vi sia ritratto, in una sequenza che ripercorre tutto quanto è accaduto, dal lockdown fino all’arrivo del vaccino, che Maurizio riporta nei suoi fotogrammi dettagliandone ogni passaggio.
Maurizio Finotto mostra e dimostra come la fotografia possa dunque essere un mezzo che attraverso un racconto riesce a dilatare il suo ruolo documentaristico, sconfinando nell’accattivante sfera delle emozioni e toccando le corde più sensibili della nostra anima senza la necessità di dover stupire o provocare. Gli scatti di Maurizio sottolineano i momenti più significativi, quelli in cui appariamo più soli e fragili che mai, nel silenzio delle strade deserte o assorti in fila davanti alle farmacie, isolati da mascherine e guanti di lattice. Situazioni che il fotografo sapientemente isola e consente l’emersione dell’essenza della tragedia che tutti insieme stiamo vivendo.
Non manca nulla, il silenzio della fotografia qui regna sovrano, come nei dipinti di Edward Hopper, il silenzio è poesia, raccoglimento, attesa ma mai rassegnazione. Gli sguardi persi dietro le mascherine hanno significati differenti tra un bambino, un anziano e un angelo infermiere ma tutti condividono la paura di perdere quella che prima chiamavamo normalità. Questi scatti mostrano le distanze che sono forse divenute improvvisamente l’elemento determinante di ogni situazione, lontananze che fanno emergere ancor più isolamenti e solitudini, guanti, mascherine e camici sono prepotentemente divenuti simboli di un periodo storico che stiamo vivendo sempre con l’occhio rivolto ad una luce in fondo al tunnel, che forse gli scatti di Maurizio cercano di farci scorgere.
Se consideriamo che da oltre un anno non abbiamo più la possibilità di vedere i sorrisi dei bambini, oggi nascosti, non possiamo purtroppo dire che è andato “tutto bene” come recitano striscioni e disegni sui balconi.
Nel silenzio della fotografia mi torna in mente la poesia straziante del trombettista Raffaele Kohler che nelle sere milanesi risuonava nell’aria come a ricordarci che la musica, come l’arte, non la si può fermare, nemmeno una pandemia.
A Maurizio Finotto, ancora una volta, rivolgo il mio ringraziamento perché i sui scatti, mai banali, riescono ancora una volta a far riflettere e ad offrire a tutti di poter accedere alle profondità delle nostre anime fragili alla ricerca di risposte per poter essere persone migliori.
Alberto Moioli