“Tenetevi stretti i sogni,” scriveva il poeta Langston Hughes.
Quante parole sono state scritte e quante poesie abbiamo letto con il sogno protagonista. Molti autori li abbiamo studiati, molti dei quali si sono addentrati nell’enigmatico mondo dell’inconscio, territorio inesplorato che Sigmund Freud cercava di decifrare per comprendere i messaggi nascosti nella nostra profondità.
La poesia, d’altronde, non è altro che un linguaggio artistico, un codice espressivo che ci guida nella dimensione onirica dell’arte. Penso al celebre affresco del Sogno di Innocenzo III dipinto da Giotto nella Basilica di San Francesco ad Assisi o al Sogno di Costantino dipinto da Piero della Francesca. Ma è soprattutto Il sogno di Gaetano Previati, realizzato nel 1912, che con la sua grazia e armonia ci immerge in una nuova dimensione, dove la luce che sembra emanare dall’opera stessa avvolge i due amanti abbracciati, teneramente stretti come furono Paolo e Francesca.
Eppure, tra le espressioni artistiche più recenti, è la produzione creativa di Emilio Tadini a colpirmi profondamente. A Milano, la sua Casa Museo e Archivio continua a vivere come uno spazio vibrante e affascinante, dove l’ingresso accoglie il visitatore con opere che, ad una lettura attenta, rivelano una vera e propria esperienza intellettuale ed emozionale.
Nell’opera MAGIE – IMAGE, l‘ironia sottile e la poesia di Tadini emergono in una riflessione raffinata che gioca con l’osservatore, conducendolo attraverso torsioni emotive e profonde. Quest’opera si articola in una dicotomia tra “sopra e sotto”, come se volesse rappresentare la tensione tra realtà e inconscio, due mondi apparentemente opposti ma sempre interconnessi, proprio come il legame tra pittura e scrittura. È un’opera in cui la favola, il gioco e la magia emergono con forza, dischiudendo scenari straordinari, come la Torre di Babele che si innalza verso il cielo, simbolo delle costruzioni e delle sovrastrutture che animano le profondità del nostro pensiero.
Il sogno, nel mondo di Tadini, racconta una favola antica e universale: quella del bambino che continua a vivere dentro di noi, pronto a scuotere le nostre anime e risvegliare le nostre emozioni più intime. Non è un caso che lo stesso Tadini, artista, poeta, scrittore e filosofo, scrivesse: “Nello spazio aperto dalla separazione originaria, quando il bambino si stacca dal corpo della madre, e lo si vede allontanarsi: in quello spazio posa l’aria che consente al linguaggio di respirare. Le parole chiamano la figura che si allontana dopo la separazione: cercano di chiamarla indietro. Le immagini ce ne riportano il simulacro, la figura. Parole e immagini sono gli organi della nostalgia. Il bambino sorride a ciò che ritorna. A ciò che vede ritornare.”
Tadini ci trasporta così in un tempo e in uno spazio in cui la bellezza dell’arte risiede nella sua capacità di farci immergere in una realtà apparentemente lontana, eppure incredibilmente vicina. Una realtà vista attraverso lo sguardo poetico di un sogno.
Teniamoci stretti i sogni.
Alberto Moioli