Paolo Terdich ha esposto alla Camera dei Deputati di Roma una mostra personale dal titolo “Esodo”.
Il percorso espositivo ha accolto proprio nel Giorno del ricordo il grande pubblico accorso per vedere le opere che l’artista ha dedicato all’Esodo giuliano-dalmata e alle foibe. Un racconto espressivo straordinario che è stato celebrato durante l’inaugurazione anche dal Presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana e dal Presidente della Commissione cultura della Camera dei Deputati Federico Mollicone.
Un parterre istituzionale di prim’ordine che ha dato ancora più valore all’intera iniziativa.
Hanno seguito la mostra i telegiornali della RAI, dal TG1 al TG2 fino alle reti Mediaset.
Per l’occasione ho scritto un testo critico che è parte della bella monografia che è stata realizzata proprio per questa occasione.
La mostra è stata curata dall’Archivio Paolo Salvati.
Paolo Terdich: un viaggio profondo nella memoria
L’arte di trasformare il dolore in bellezza – di Alberto Moioli
Di fronte alle opere di Paolo Terdich, noto artista lombardo, mi trovo immerso in una riflessione che va oltre la mera rappresentazione pittorica. Terdich non si limita a replicare la realtà con precisione realistica, ma intraprende un viaggio che esplora il profondo dell’animo umano. Un percorso che riguarda la storia che ha coinvolto la sua famiglia, una ferita intima ancora aperta e della quale oggi sceglie di raccontare attraverso l’uso di uno stile pittorico particolarmente intenso.
Terdich affronta uno dei capitoli più dolorosi delle vicende italiane del XX secolo: l’esodo istriano – dalmata[1] del dopoguerra. Questa narrazione non è solo un tributo alla memoria personale, ma diventa un simbolo della sofferenza collettiva. Le opere di Terdich, attraverso il suo particolare alfabeto creativo, ci consentono di rivivere quell’epoca di angoscia e speranza, trasmettendo il dramma di migliaia di italiani costretti a lasciare le loro terre natali.
Il maestro Terdich ci rivela: “Ricordo ancora le storie di mio padre Danilo sulla sua vita a Fiume; la sua infanzia era caratterizzata da spensieratezza, amicizie e numerosi interessi. Conservo diverse fotografie di quei tempi, che lo ritraggono con i miei nonni, i suoi amici e parenti, dei quali purtroppo ho perso i contatti.” Questa riflessione ci introduce in un viaggio emozionale, dove il passato e il presente si fondono, evocando immagini vivide e nostalgiche che mostrano la profondità che caratterizza l’anima sensibile dell’artista.
Mi ha colpito molto “l’Esule” opera del 2024 in cui Terdich ritrae suo padre in età avanzata. L’espressione pensierosa del volto, curata nei minimi dettagli, ci parla di sofferenze interiori, mentre lo sfondo dai toni neutri crea un contrasto potente e simbolico. In quest’opera, come in molte altre, si può percepire l’eco dello studio che l’artista ha fatto sull’opera di Caravaggio[2], dove il chiaroscuro è usato per enfatizzare l’intensità emotiva, portando alla luce le ombre dell’animo umano, un dettaglio che voglio sottolineare per far comprendere come ogni dettaglio inserito nel racconto creativo non è un semplice esercizio estetico ma il risultato di un pensiero autentico.
Nel dipinto che racconta l’imbarco sulla motonave Toscana (2023) reinterpreta una fotografia storica, avvolgendo le figure in una nebbia leggera che amplifica il senso di incertezza e ansia per il futuro. Mi affascina quest’opera perché evoca in me situazioni ed atmosfere epiche, immagino la motonave Toscana, come un moderno Leviatano silenzioso, mentre solca le acque cariche di storie e di destini incrociati. Le paratie erano come le pagine di un libro intriso di memorie e suo ponte una sorta di teatro di anime. Ogni porto a cui attraccava era un nuovo capitolo e ogni partenza un’epifania. Questo stile surreale e quasi metafisico richiama il tema romantico del viandante senza patria, simile al ” Der Wanderer über dem Nebelmeer ” di Caspar David Friedrich[3]. Il Viandante sul mare di nebbia è un dipinto che il pittore romantico tedesco dipinse nel lontano 1818 ed oggi conservato alla Hamburger Kunsthalle di Amburgo. Come in quel capolavoro un’enorme distesa di nebbia rivela qualche vetta montagnosa ma cela inevitabilmente tutto il resto del paesaggio, come a voler sottolineare la precarietà di un futuro non delineabile. Ecco perché considero le opere di Terdich autentiche finestre aperte su un mondo di sentimenti e storie profonde.
L’analisi di questo esodo ci riporta a un contesto storico complesso. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la firma del Trattato di Parigi nel 1947, vaste aree della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia furono annesse alla Jugoslavia di Tito. Questo provocò un massiccio esodo di italiani, costretti ad abbandonare le loro case per sfuggire a persecuzioni e repressioni. Le condizioni di viaggio erano spesso precarie, e l’accoglienza in Italia purtroppo non sempre calorosa. Gli esuli si trovarono di fronte a nuove difficoltà, spesso accolti in campi profughi, affrontando ulteriori e dolorosi pregiudizi.
Paolo Terdich con i suoi dipinti riesce a fare dell’arte una testimonianza vibrante della tragedia umana attraverso un simbolo universale: le mani. Nei suoi dipinti, queste non sono solo elementi figurativi, ma diventano narrazione silente e intensa del dolore e della resistenza. Le mani dipinte da Terdich portano il segno del vissuto, della separazione, dell’angoscia, e in queste opere ispirate all’esodo istriano-dalmata, riesce a raccontare la drammaticità di un popolo costretto ad abbandonare le proprie terre, legando il presente al passato con un filo di memoria, fragile e potentissimo.
Le mani dell’esule Danilo sono simbolo universale e atemporale del dolore umano. Attraverso queste figure di dita tese, contorte, strette in un pugno o unite da un filo, l’artista riesce a dar voce a una sofferenza che va oltre la rappresentazione visiva: è un’esperienza vissuta, una tensione che ci lega agli esuli e alle loro storie. Il dipinto “Legami,” ad esempio, è emblematico di questo messaggio: un filo che lega mani, trattiene, incatena. Il termine stesso, “Legami,” si presta a una duplice lettura, ricordandoci sia il vincolo forzato della fuga sia il legame affettivo che tiene unite le persone e la loro identità, nonostante la diaspora.
Questa simbologia rimanda alla tradizione della storia dell’arte, dalle mani disperate delle figure di Munch alle mani tese della Pietà di Michelangelo. Come nella grande arte classica, Terdich ricorre alle mani per esplorare la condizione umana in tutta la sua profondità, ma lo fa con un linguaggio contemporaneo e diretto, dove ogni pennellata è carica di significato e di dolore.
Vi sono poi due opere dedicate alle foibe, tragedia tra le più cupe di questo periodo storico. Terdich non esita a rappresentare il dramma del recupero dei corpi delle vittime, portando alla luce il lato più oscuro di questa vicenda. In queste scene, le persone dipinte sembrano sospese tra la vita e la morte, tra la fine e la memoria. È un’immagine di devastazione che ci ricorda, senza filtri, l’orrore di quegli anni, rappresentato con una forza e una crudezza che non ci possono lasciare indifferenti. La maestria nel mantenere la tensione cromatica di ogni dipinto è il filo conduttore estetico di tutta questa sequenza di opere, un autentico racconto espressivo che dimostra la straordinaria maturità espressiva raggiunta da Paolo Terdich.
Come spiega l’artista: “Dal punto di vista estetico, ho focalizzato la mia ricerca cromatica sulla creazione di una luce e di un’atmosfera di tensione e pathos, volte a trasmettere sensazioni che risiedono nel regno della paura e della sofferenza.” Questa ricerca creativa, questa luce quasi teatrale, consente all’osservatore di potersi immergere in un mondo carico di emozione e angoscia, uno spazio dove la storia diventa esperienza sensoriale e riflessione etica.
Attraverso le mani, dunque, Terdich non solo racconta, ma costringe a ricordare, a portare con sé il peso e l’intensità della memoria storica, trasformando il gesto pittorico in un atto di profondo rispetto e compassione.
Il valore delle opere di Terdich risiede anche nella loro capacità di suscitare un dialogo con il pubblico, di coinvolgere gli spettatori in una riflessione collettiva sul passato e sulle sue implicazioni nel presente. Con questo progetto, egli non solo esplora un passato doloroso, ma ci invita a riflettere sul valore della memoria e sulla capacità dell’arte di trasformare il dolore in bellezza. Porto personalmente nel mio cuore il ricordo di una straordinaria serata a Piacenza in cui Paolo Terdich ha mostrato alcune opere e si è confrontato con un pubblico molto attento su un doppio fronte, quello artistico e quello storico, dimostrando la forza dell’arte e del dialogo.
Terdich riesce a far emergere il valore della memoria attraverso l’estetica e il pensiero critico, ricordando il concetto di “eterno ritorno”[4] di Nietzsche, dove ogni evento ha la possibilità di ripetersi all’infinito, invitandoci a riflettere sull’importanza di ogni singolo momento della nostra esistenza. È un’arte che si fa testimonianza, memoria e riflessione filosofica, dove l’iconografia si intreccia con la riflessione sull’identità e la memoria storica.
Inoltre, la sua opera può essere letta attraverso la lente della filosofia esistenzialista di Sartre[5], che sottolinea l‘importanza dell’individuo nel creare il significato della propria vita, nonostante l’assurdità e la sofferenza del mondo circostante. Terdich, con la sua rappresentazione del dolore e della perdita, ci ricorda che siamo noi a dare significato alle nostre esperienze, trasformando il trauma e il dolore in qualcosa di profondamente umano e universale.
Questa riflessione filosofica si coniuga con un’analisi storica più ampia. L’esodo giuliano-dalmata ha visto oltre 250.000 italiani fuggire dalle loro terre, un evento che trova eco nei grandi movimenti di popolazione dell’antichità, come le migrazioni barbariche che segnarono la fine dell’Impero Romano d’Occidente. Terdich, con la sua sensibilità artistica, riesce a evocare queste connessioni storiche, mostrando come il dolore e la perdita siano temi universali e senza tempo.
Le sue opere, come quelle di grandi maestri del passato, diventano così ponti tra epoche diverse, collegando il presente al passato e invitandoci a riflettere sulle lezioni della storia. In questo, Terdich si avvicina alla visione di Aby Warburg[6], lo storico dell’arte che vedeva nelle immagini delle opere d’arte non solo rappresentazioni estetiche, ma veri e propri veicoli di memoria culturale e collettiva.
In questo contesto, emergono anche le voci poetiche di Biagio Marin[7] e Nelida Milani[8], che hanno saputo catturare con i loro versi l’essenza dell’esodo istriano dalmata. Marin, con la sua poesia “Esodo”, dipinge un quadro struggente del dramma umano e della dislocazione, mentre Milani, nelle sue opere narrative, dà voce ai sentimenti di sradicamento e nostalgia di un’intera generazione. Le loro parole risuonano come un eco lontano nelle tele di Terdich, arricchendo il racconto visivo con una profondità lirica molto emozionante. Le opere in oggetto hanno la capacità inusuale di evocare dentro di me l’idea di un racconto molto ampio in cui la pittura è accompagnata da un ideale sottofondo musicale e una voce che attraverso le parole misurate della poesia, trovano il proprio habitat naturale nella stesura di una nuova partitura in cui la storia e l’arte si intrecciano come per magia.
Nelle opere di Paolo Terdich risiede la straordinaria forza dell’arte: la capacità di emozionare, di far pensare, di connettere l’individuo a una dimensione più profonda della realtà. Come ha detto Pablo Picasso, “L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni“[9].
Le tele di Terdich sono un invito a guardare oltre la superficie, a esplorare le pieghe più nascoste della nostra memoria collettiva e individuale. Attraverso il suo lavoro, Terdich non solo ci mostra il passato, ma ci sprona a riflettere sul presente, a non dimenticare mai le lezioni che la storia ci ha insegnato. È questa la vera potenza dell’arte di Paolo Terdich: trasformare il dolore in bellezza e rendere eterni i momenti più effimeri della nostra esistenza.
Alberto Moioli
[1] L’esodo istriano Dalmata: riferimento storico al massiccio esodo di italiani dalla Venezia Giulia, dall’Istria e dalla Dalmazia verso l’Italia nel dopoguerra, in seguito al Trattato di Parigi del 1947. Questo evento ha visto oltre 250.000 italiani costretti a lasciare le loro case, tra questi anche la famiglia del pittore Paolo Terdich.
[2] Michelangelo Merisi da Caravaggio: pittore italiano del tardo Rinascimento, noto per l’uso del chiaroscuro per enfatizzare il dramma e l’intensità emotiva nelle sue opere.
[3] Caspar David Friedrich: pittore tedesco del Romanticismo, noto per le sue opere che esplorano il tema del viandante e la connessione tra l’uomo e la natura. Il suo dipinto “Viandante sul mare di nebbia” (in tedesco “Der Wanderer über dem Nebelmeer”) è evocato da Terdich nella sua opera Esodo 3
[4] Eterno ritorno: concetto filosofico di Friedrich Nietzsche, secondo cui ogni evento è destinato a ripetersi all’infinito. Invita a riflettere sull’importanza di ogni momento della nostra esistenza.
[5] Jean-Paul Sartre: filosofo esistenzialista francese (1905-1980), noto per la sua enfasi sull’importanza dell’individuo nel creare il significato della propria vita, nonostante l’assurdità e la sofferenza del mondo circostante.
[6] Aby Warburg: storico dell’arte tedesco (1866-1929) che vedeva nelle immagini delle opere d’arte non solo rappresentazioni estetiche, ma veri e propri veicoli di memoria culturale e collettiva.
[7] Biagio Marin: poeta friulano, nato nel 1891 e morto nel 1985, noto per i suoi versi che celebrano la vita e la cultura del popolo dell’Adriatico orientale. La sua poesia “Esodo” cattura l’essenza del dramma umano e della dislocazione vissuta dagli esuli.
[8] Nelida Milani: scrittrice italiana di origine istriana, nata nel 1939, le cui opere narrative danno voce ai sentimenti di sradicamento e nostalgia di un’intera generazione colpita dall’esodo.
[9] Pablo Picasso: pittore e scultore spagnolo (1881-1973), noto per aver detto “L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni“, una citazione che sottolinea la potenza dell’arte nell’evocare emozioni e riflessioni profonde.